“La psiche iperumana della nostra epoca è plasmata dall’estrema idolatria. L’idealizzazione del corpo, fulcro dell’arte fin dall’antica Grecia, ha però varcato una soglia estetica e tecnica alimentata dalle esigenze del Mercato, dando origine alla rappresentazione della perfezione umana: troppo perfetta anche per gli dei”. (Aziz e Cucher). Gli uomini in genere no, ma le donne possono vivere con disagio l’imperfezione del naso, che in genere è quella più evidente e meno occultabile. Gli attuali canoni della bellezza femminile sono sempre più ispirati da copertine e show, che propongono modelli spesso artificiosi e artefatti con i quali è difficile per una donna “comune” confrontarsi. Ma la ricerca di una perfezione “prefabbricata” altera lo spirito della femminilità più pura.

Queste donne “comuni” hanno scelto di autodeterminarsi, affermando se stesse senza lasciarsi condizionare dagli stereotipi.

Celebrare l’imperfezione in un’epoca di perfezione patinata non è facile, con una fotografia che va oltre la superficie, oltre l’immagine glamour. Lo shock, il disturbante, come suggerisce Freud, porta sempre una rivelazione. La bellezza esteriore a volte inganna. Quella interiore, sotto la pelle, è autentica.

Con la serialità e la rappresentazione quasi grafica dei visi le modelle si trasformano in un sequenza di profili, apparentemente uguali, per replicare al campionario omogeneizzato che i media propinano, snaturando la personalità della donna attraverso la sua metamorfosi in oggetto dalla presunta perfezione.