I manichini di Antonio Zanata

Manichini, e poi manichini, e poi ancora manichini, in un infinito tra luci sfavillanti, o nelle ombre penombre della notte, in cui quei corpi di celluloide, o cellulosa, ammiccano quasi sempre al passante solitario, e frettoloso, in cammino verso una meta non sempre occasionale. 

Manichini che in quelle grandi città, stanno li protetti dal vetro anti spacco, a vegliare imperturbabili e indifferenti, sui tanti senza tetto che sovente nei loro giacigli di cartone, eleggono a loro dimora l’intercapedine alla base della vetrina. 

Manichini bianchi e a volte colorati per non offendere il connubio del mondo globale. Un pianeta il nostro che continua a girare sul proprio asse e, che sempre più, vede nei suoi cambiamenti non solo climatici, la stessa trasformazione dell’uomo, o ancor più della donna, assoggetta ai dettami della moda della società dei consumi. 

Credo sia comunque un errore definire al maschile i manichini, ma la terminologia italica, se vogliamo anche un po’ maschilista nel non voler coniarne il femminile, se non nella versione francese. Come sempre sono i francesi a dettare la moda, anche nella definizione di “mannequin” che poi in effetti fa anche più chic. 

Eppure se facciamo un passo indietro nella storia dell’evoluzione del termine, esso prende forma già nel 1300, di fatti “manneken” in lingua fiamminga, anche se non certa, stava a significare: piccolo uomo, oppure dal francese: manne, nel significato di cesta di vimini, su cui appendere e mostrare i lavori di sartoria. 

Nella Venezia del settecento, venivano esposte grandi bambole, abbigliate all’ultima moda francese. Erano le Piavole de Franza, bambole dalle fattezze più inclini a quell’immagine femminile non certa anoressica. Oggi invece i grandi sarti e tutte le “industrie della bellezza”, vorrebbero il mondo a loro immagine e somiglianza, uniforme ai dettami della loro moda. 

Antonio Zanata fotografo, penso sia un grande professionista della sua arte fotografica, e di rimando, l’ho sempre apprezzato in un settore della fotografia, se vogliamo parallelo a questo suo lavoro sui manichini, per aver saputo valorizzare la figura femminile. Capolavori di immagini catturate con estrema maestria, che raccontano tutta la sensualità appartenente alle donne ritratte e al contempo il loro mondo imperfetto, quello che sfugge al canone secondo il quale si è belle solo se la taglia è la 36, massimo 40. 

Zanata fotografo non è solo questo, nella sua lunga carriera si è cimentato in tanti campi della fotografia ma credo che in questo suo lavoro si sia superato, puntando l’obiettivo al di là delle vetrine, nell’intento di catturare un’anima in quelle figure immobili ed inespressive. 

In queste sue immagini, di manichini bellissime, e uso il femminile, proprio perché sono lo specchio di come la donna, quella vera, riflettendosi in quelle vetrine, rivede sé stessa, come essa vorrebbe essere, o in effetti come soprattutto gli uomini vorrebbero che fosse. 

Manichini, truccati come nemmeno i maquillage di Avon, L’Oreal, Maybelline, per citarne alcunesarebbero in grado di eseguire, perdono la loro assenza, trasformandosi in figure ammaliatrici, belle da far sognare, ma che a volte nemmeno il Padreterno è riuscito nella sua infinita bontà a creare. Mai l’immagine di Eva è giunta fino a noi, per poter valutare il senso della bellezza che il Divino ha voluto beneficiarci, se non nelle pitture del Michelangelo, ma ahimè, anch’esso uomo, e senza un chiaro punto di riferimento, se non nella sua immaginazione, nell’affrescare sulle volte della Cappella Sistina: La Creazione di Eva, negli inizi del 1500. Diverso è per le donne il soffermarsi ad ammirare, non solo quei volti senza sorriso, ma anche ciò che indossano, proprio perché per loro, c’è l’illusione, che è quel capo di abbigliamento a renderle simili.  Manichini, e spesso non nascoste all’occhio dei passanti, esse sono esposte in attesa di un allestimento di vetrina, prive delle suppellettili che le ricoprono, mostrando la disarticolazione del corpo e degli arti, che serviranno a dare a quei corpi non vivi, quel portamento per mostrare al meglio il loro fascino, quando ricoperte, saranno illuminate dalla sapiente luce che i vetrinisti hanno saputo creare, per renderle quella sensualità non naturale. In questo suo lavoro, Antonio Zanata, non ci ha solo posto un suo virtuosismo fotografico, ma in esso anticipa i tempi nell’aver egli intuito attraverso i tanti manichini, quella trasformazione in atto che in questi ultimi tempi ha visto sorgere a Torino, la prima casa per appuntamento, posta in un grigio edificio, nei pressi di Mirafiori, in cui ad intrattenere gli uomini, non è una casa di tolleranza Felliniana, o di quella raccontata nello stupendo film “Storie di amori e di anarchia” della Lina Wertmuller. 

È Lumidolls, l’antesignano del sesso del futuro?
Antonio attraverso le sue foto dei manichini, ci induce a riflettere su quanto noi esseri umani siamo pronti a lasciarci fuorviare dal senso della realtà; attraverso le sue immagini Antonio ci invita a conoscere il confine di un mondo senza tempo in cui discernere il reale dall’irreale in attesa di una nuova Lumidolls vicino casa.

Francesco Cito
(Prefazione del libro My Heartless Girls)